martedì 29 marzo 2016

Recensione: In altre parole - Jhumpa Lahiri


IN ALTRE PAROLE JHUMPA LAHIRI


Tempo di lettura: due ore
Consigliato: a coloro che amano le lingue straniere o studiano lettere
Prezzo: 14,00€ cartaceo e 9,99€ ebook
Scelto: su consiglio di un’amica
Frase preferita
: «I libri sono i mezzi migliori - privati, discreti, affidabili- per scavalcare la realtà.»




TramaQuesta è la storia di un colpo di fulmine, di un lungo corteggiamento, di una passione profonda: quella di una scrittrice per una lingua straniera. Jhumpa Lahiri è una giovane neolaureata quando visita per la prima volta Firenze; appena sente parlare l'italiano capisce che le è stranamente familiare, che le è necessario e deve apprenderlo. Non sa spiegarsi il perché di un simile, repentino bisogno, ma sa che farà di tutto per soddisfarlo. Dapprima prova a studiare l'italiano nella sua città, ma non basta. Anche le brevi visite successive, a Mantova, Milano, Venezia, non la appagano: vuole immergersi completamente nella realtà della nuova lingua. Si trasferisce a Roma, con tutta la famiglia. E lì comincia la vera avventura, fatta di slanci, entusiasmo e insieme di difficoltà ed estraniamento. "In altre parole" è il primo libro che nasce direttamente in italiano da un'autrice di madrelingua bengalese che ha sempre parlato e scritto in inglese. È la testimonianza di un tenace percorso di scoperta e di apprendimento e di un obiettivo, raggiunto, di potenza e fluidità espressiva, ancora più preziosa perché conserva tra le righe l'eco affascinante di una distanza, quella che sempre ci separa dall'oggetto d'amore: la distanza impercettibile e infinita del desiderio. Tutti i capitoli che compongono il libro, tranne l'ultimo, sono stati precedentemente pubblicati, in una prima versione sotto forma di articoli, su "Internazionale".



In altre parole è una traversata dell’instancabile autrice verso una lingua oceanica di parole italiane. L’amore folle per una lingua sconosciuta, l’italiano. Come scrive la stessa Jhumpa Lahiri:



«Quello che provo è qualcosa di fisico, di inspiegabile. Suscita una smania indiscreta, assurda. Una tensione squisita. Un colpo di fulmine.»











L’autrice abbandona le sponde sicure dell’inglese per gettarsi verso le acque ignote che la condurranno non senza difficoltà verso lo studio della lingua italiana. Ma la lingua inglese durante la sua traversata è sempre lì a porgerle la mano quando ha difficoltà, mentre l’italiano a confronto tentenna e si dimostra molto debole. Si sente divisa in due e durante il suo percorso le viene in mente il dio Giano bifronte: 



«Due volti che guardano allo stesso tempo il passato e il futuro. L’antico dio della soglia, degli inizi e delle fini.»








Leggendo il libro sono riuscita a immedesimarmi nel suo viaggio che diventa come un vero e proprio esilio. Alla ricerca di una completa conoscenza della lingua italiana che sembra irraggiungibile. Questo suo sforzo immane viene paragonato al mito di Sisifo definendolo

«Qualcosa di disperato. Quasi, dire, una fatica di Sisifo. Non è possibile, per il giardiniere, controllare alla perfezione la natura. Allo stesso modo non mi è possibile conosce, per quanto voglia, ogni parola italiana.» 


Jhumpa Lahiri desidera invece possedere ogni vocabolo, ma soprattutto vuole appartenere a una patria. Il suo aspetto le impedisce di sentirsi accettata persino nel suo paese d’origine, dove amici e parenti si rivolgono a lei parlando in inglese. Così proseguo la mia lettura tra metafore e racconti di fatti realmente accaduti all’autrice. Uno in particolar modo è riuscito a catturare la mia attenzione:

«Mio marito parla lo spagnolo alla perfezione, quindi tende a parlare l’italiano con un accento spagnolo. […] Decidiamo di comprare due paia di pantaloni più il giubbotto. Alla cassa, mentre sto pagando, la commessa mi chiede: “Da dove venite?” Le spiego che abitiamo a Roma, che ci siamo trasferiti in Italia lo scorso anno da New York. A quel punto la commessa dice: “Ma tuo marito deve essere italiano. Lui parla perfettamente, senza nessun accento”. […] Non dico niente alla commessa. La ringrazio, la saluto, poi esco. […] Secondo questa commessa, mio marito sa parlare benissimo l’italiano, va lodato; io no. Mi sento umiliata, indignata, invidiosa. Dico finalmente a mio marito, in italiano, quando siamo per strada: “Sono sbalordita”. E mio marito mi chiede, in inglese: “Cosa vuol dire, sbalordita?”»

L’episodio di Salerno è soltanto un esempio di tutti i muri che ha affrontato ripetutamente l’autrice in Italia. Ma per quanto sia stato duro il suo cammino ha avuto al suo fianco degli ottimi amici, che l’hanno incoraggiata e aiutata volentieri. La ricerca di una patria si è trasformata in una vera e propria metamorfosi. Iniziando cambiando lingua, territorio e stile di scrittura. Finendo col cambiare se stessa.

«Sono invisibile. Divento le mie parole, e le parole diventano me.» 

Beatrice




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